Succede ogni tanto quando si esce da
una bella mostra che la nostra visione delle cose si è modificata.
Questa esperienza per me la più preziosa e impagabile altera la
nostra quotidiana percezione della realtà a volte solo per un breve
tempo e altre volte in modo permanente entra a far parte della nostra
vita. Sono aspetti della realtà di cui non eravamo a conoscenza ma
che riconosciamo come reali nel momento in cui qualcuno ci apre una
porta per mostrarceli. Thomas Braida coltiva il suo immaginario, gli
da nutrimento. Selezionando da varie parti immagini molto spesso
allucinanti o le costruisce assemblando pezzi di giocattoli, maschere
e oggetti vari con creatività straordinaria fa vivere le sue
creature grottesche, psicopatiche che comunemente non
vogliamo vedere ma sono molto presenti e reali. Nella sua pittura
questa visione diventa ancora più coinvolgente e potentemente viva.
L'espressività delle pennellate, l'intensità espressiva delle
figure e l'incredibile capacità di composizione vivono di una
libertà tecnica totale, lontane dal tecnicismo, totalmente aperte
alla sperimentazione in funzione del dare vita a quadri di una tale
forza e profondità che rimangono addosso. Mi viene in mente Goya e
mi fa piacere trovarlo citato nell' intervista su Klat ma il suo lavoro è assolutamente contemporaneo e per niente
anacronistico.
Nell'esposizione a Villa Gorgo – Guado
dell’Arciduca Nogaredo al Torre – San Vito al Torre, (Udine)
all'interno del progetto Painting Detours, workshop ideato da Andrea
Bruciati lo spazio è allestito come un laboratorio dove le grandi
tele sono su dei cavalletti da lavoro, per terra il pavimento è protetto dalla
plastica piena di sgocciolature, vasi con pennelli, libri, disegni
tutto quello che di solito c'è in fase d'opera e che in una mostra
non si vede mai. Le piccole tele accatastate una sopra l'altra in
mezzo a libri e ogni sorta di cianfrusaglia sembrano voler sfuggire
allo spazio troppo impegnativo della parete che altre invece occupano
casualmente. Se ci abbassiamo ad ossevarle veniamo rapiti da storie e
personaggi che sembra impossibile possano stare in una piccolissima
tela. Cani, orsetti di peluche, civette ed esseri immaginari
trasmettono dramma e sgomento, ilarità e follia. Anche nelle grandi tele il phatos è fortissimo, lo troviamo evocato chiaramente nel Sacrificio di Isaak ma anche "sulla spalla del gigante Pimpo" l'impressione è cinematrografica è sconvolgente. Davanti al grande quadro "san giorgio and CO."ma anche in "burnin'bush" mi rendo conto che la scelta del soggetto e la scelta dei colori possono essere sempre diversi, i soggetti che provengano dal fumetto o dall'illustrazione o da una foto o dalla storia dell'arte non cambia nulla, l'intenzione pittorica ci tiene lontano da intellettualismi ed enfasi concettuali. Qual è la tua definizione di bellezza? La diversità è bellezza. Una cosa bella la “senti” subito e, magari, la
capisci dopo. È un atto d’amore, l’arte. Anche capire la diversità lo
è.